Quando un motivo musicale cinematografico si trasforma in un incubo: M - Il Mostro di Düsseldorf, di Andrea Bedetti
Siamo abituati a considerare la presenza di temi musicali in una pellicola cinematografica, a cominciare dalla colonna sonora, come un elemento che, di volta in volta, apporta dei significati più o meno espliciti nella struttura stessa della sceneggiatura o della trama. A volte, però, un determinato tema musicale si trasforma in un qualcosa che esula dal puro significato primario, come arricchimento, coinvolgimento emotivo (si pensi a come un brano romantico possa influire sullo spettatore mentre guarda un film sentimentale) e assume un contesto ossessionante, opprimente, simbolico; in questo caso un tema musicale, esposto anche per pochi secondi e con pochi accordi, scatena nello spettatore un meccanismo angosciante che prefigura e anticipa un determinato sviluppo nella vicenda narrata dalla pellicola. Questo tipo di meccanismo è tipico nella cinematografia horror, dove la musica gioca un ruolo fondamentale per far comprendere allo spettatore che, con l'irruzione di un certo tema musicale, "qualcosa sta per accadere", per prepararlo a una scena forte, a una situazione spaventosa, con il sottofondo musicale che funge da "campanello d'allarme" o per evidenziare la drammaticità della scena stessa, facendo sì che le note musicali aumentino a dismisura il senso di panico e di presa emotiva su chi la guarda. Basti pensare a Lo squalo (Jaws, 1975) di Steven Spielberg.
Oppure all'altro caso esemplare nella storia del cinema, ossia la leggendaria scena da Psyco (1960) di Alfred Hitchcock, quando Marion Crane (Janet Leigh) entra nella doccia della sua camera al Motel Bates e viene uccisa con diverse pugnalate da Norman Bates (Anthony Perkins), scena accompagnata dal ritmo stridulo, dissonante, angoscioso degli archi, genialmente composto da Bernard Herrmann.
Questa premessa si attaglia perfettamente anche per ciò che riguarda uno dei capolavori assoluti della storia della settima arte, M - Il mostro di Düsseldorf (1931), del regista tedesco Fritz Lang, uno dei padri della cinematografia della prima metà del Novecento. In realtà, il titolo originale del film è M - Eine Stadt sucht einen Mörder (ossia M - Una città cerca un assassino, dove la M, ovviamente, sta per "Mörder", assassino in tedesco) e la storia che narra riprende dei fatti di cronaca tristemente avvenuti in Germania nel corso degli anni Venti dello scorso secolo, per mano di due serial killer, Fritz Haarmann, soprannominato il "licantropo di Hannover", autore di non meno di venti omicidi nei confronti di giovani vagabondi di strada commessi tra il 1919 e il 1924, e Peter Kürten, soprannominato il "vampiro di Düsseldorf", che fece almeno trenta vittime, tra uomini, donne e bambini, omicidi commessi in appena due anni, tra il 1929 e il 1930.
Fritz Haarman
Peter Kürten
Non è questa la sede adatta per narrare raccapriccianti particolari riguardanti le modalità omicide dei due serial killer, né tantomeno ciò che facevano sui corpi delle loro vittime, ma è indubbio che rappresentano due tra i casi più eclatanti di tutta la storia della criminologia del ventesimo secolo. Ciò che importa è che anche Fritz Lang, emotivamente colpito dalle efferatezze di questi due criminali (che vennero condannati a morte e decapitati rispettivamente nel 1925 e nel 1931), decise di trarne spunto per il suo primo film sonoro, prodotto da Seymour Nebenzahl per la Nero-Film AG, e che rappresenta allo stesso tempo l'ultimo, grande capolavoro del cinema espressionista tedesco. Protagonista assoluto è l'assassino, il "mostro", Hans Beckert – interpretato da un magistrale e straordinario attore, l'ungherese László Loewenstein, nome d'arte Peter Lorre, qui nel suo primo ruolo cinematografico da protagonista –, che lo spettatore conosce nelle sue reali intenzioni fin dalle prime scene del film, in quanto non era intenzione del geniale regista tedesco dare vita a un vero e proprio noir, a un giallo nel quale soltanto alla fine si viene a sapere chi è l’assassino, ma a una pellicola attraverso la quale investigare, riflettere, eticamente, sull'entità del Male, della colpa, della punizione e sull'annoso problema, come sempre accade quando si deve giudicare un pluriomicida seriale, se considerarlo o meno capace di intendere e di volere.
A Berlino (è qui che si svolge il film, anche se l'edizione italiana, che riporta nel titolo Düsseldorf, ambienta in questa città la storia, rifacendosi ai crimini efferati commessi da Fritz Haarmann) le forze dell'ordine stanno dando la caccia, senza successo, a un maniaco che ha ucciso otto bambine dopo averle adescate per strada. Le cose precipitano quando il mostro rapisce e uccide un'altra piccola innocente, scatenando una violenta reazione da parte dell'opinione pubblica, ormai esasperata da questi delitti che gettano nel panico le tante famiglie che hanno delle bambine. E la polizia, pur impegnando centinaia di agenti e investigatori, non riesce a trovare un pur minimo indizio e brancola nel buio. E qui si evidenzia tutto il genio cinematografico di Fritz Lang che, con il passare del tempo, riesce a trasformare la paura, il terrore, lo sconforto provati dalla gente in un moto di sordida ribellione, che inevitabilmente porta tutti a sospettare di tutti.
Otto Wernicke (il commissario di polizia) e Friedrich Gnass (un malvivente) nel film
Le forze dell’ordine, messe sotto accusa dalla stampa e strigliate dagli uomini politici al potere, irritati da questi continui smacchi, decidono così di ricorrere a delle imponenti retate in quei quartieri cittadini dove la malavita spadroneggia, sicure di trovare in quegli ambienti il serial killer. Ma queste operazioni, guidate dal Kriminalkommissar Karl Lohmann (interpretato da Otto Wernicke, che appare nello stesso ruolo in un altro celebre film di Fritz Lang, Il testamento del dottor Mabuse,1933), il quale incarna l'investigatore che crede fermamente nella giustizia, portano a un solo risultato, quello di impedire alle varie associazioni criminali di non poter svolgere in tranquillità i loro loschi affari. Così, i boss dei vari quartieri, stanchi di questa inutile e dannosa caccia all’uomo che impedisce loro di delinquere proficuamente, decidono di cercare l'assassino e di catturarlo, in modo che la polizia li lasci finalmente in pace. Per fare ciò decidono di far venire in città il "capo dei capi", Schranker, ricercato per aver ucciso tre poliziotti. Costui, interpretato da Gustaf Gründgens, uno dei maggiori attori tedeschi della prima metà del Novecento, è un uomo freddo, spietato e preciso, e prepara un piano accurato che prevede perfino l'uso dei mendicanti come spie e sentinelle per le strade di tutta la città, per catturare finalmente il il serial killer.
Gustaf Gründgens
A proposito di Gustaf Gründgens (che vediamo nella foto sopra in una scena del film), oltre a essere stato il più grande Amleto shakespeariano tedesco in teatro, è stato anche uno straordinario Mefistofele nel Faust di Goethe, un personaggio che, con l'avvento del nazismo, lo portò in auge, al punto di farlo diventare l'attore più potente della Germania dell'epoca, protetto da Goebbels e da Göring (nella foto sotto lo vediamo mentre stringe calorosamente la mano proprio a Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich). Considerato, simbolicamente, l'artista che, pur di raggiungere il successo, è pronto a tutto, anche a piegarsi al potere dittatoriale senza considerare eticamente il suo gesto, Gründgens divenne il protagonista del più famoso romanzo di Klaus Mann, figlio del sommo scrittore Thomas Mann, Mephisto (1936), trasposto poi dal grande cineasta ungherese István Szabó nell'omonimo film (1981), interpretato magnificamente da Karl Maria Brandauer.
Tornando a M - Il mostro di Düsseldorf , ormai con la polizia e le bande di criminali sguinzagliate per tutta la città, il "mostro" Hans Beckert ha le ore contate, anche perché viene finalmente riconosciuto per via del suo fischiettio da un mendicante cieco che gli aveva venduto un palloncino da regalare a una delle sue piccole vittime, e gli viene tracciata con un gesso una M maiuscola sul cappotto che il serial killer scopre di avere con orrore guardandosi nello specchio esposto nella vetrina di un negozio (foto sotto).
Ormai braccato, Beckert cerca di trovare rifugio in un palazzo adibito a uffici, ma alcuni criminali riescono a catturarlo pochi attimi prima che arrivino i poliziotti del commissario Lohmann. Condotto in uno scantinato, alla presenza di decine di delinquenti, il serial killer deve affrontare un processo sommario che gli viene intentato dal boss Schranker, che si erge a pubblico ministero, circondato da altri malavitosi in qualità di giurati. Di fronte a loro, il mostro cerca di discolparsi, di far comprendere le ragioni, le pulsioni che lo spingevano ad attirare le sue piccole vittime e a ucciderle. È questa una scena memorabile, straordinaria, nella quale Peter Lorre, con lo sguardo spiritato, si rende protagonista di un monologo entrato di diritto nella storia del cinema.
Alla fine, quando ormai i giurati stanno per emettere il verdetto di condanna a morte, il commissario Lohmann e i suoi uomini fanno irruzione nel sordido scantinato e arrestano tutti. Il film finisce in questo modo e non veniamo a sapere che cosa sarà dell'assassino, se la giustizia ordinaria lo condannerà a morte o lo considererà un folle da rinchiudere in un manicomio criminale. Film visionario, con uno splendido bianco e nero, M - Il mostro di Düsseldorf, pur essendo una pietra miliare del cinema non ottenne mai il visto della censura in Italia per tutti gli anni Trenta e perfino dopo la Seconda guerra mondiale. Per vederlo nelle nostre sale cinematografiche si dovette attendere fino al 1960! E l’apporto musicale nel film che funzione ha? A prima vista, anzi al primo ascolto, sembrerebbe poco o nulla, ma qui, come in pochissime altre pellicole, l'elemento dato dalla musica si insinua in modo netto, chirurgico, che in parte, però, si perde nella versione doppiata in italiano, dove viene snaturata proprio la componente musicale. Prima di tutto, il "mostro", nel corso della pellicola, viene riconosciuto anche quando non appare in scena grazie a un motivetto che continua a fischiettare ossessivamente, quello che fa parte del quarto tempo della suite orchestrale del Peer Gynt scritta dal compositore norvegese Edvard Grieg. Facendo attenzione da 05.30 a 05.51 ecco questo fischiettio nella versione originale del film in tedesco.
Facendo attenzione da 05.12 a 05.29, si ascolti invece com'è stato completamente stravolto nell'edizione della pellicola doppiata in italiano:
Non solo, si consideri il magistrale inizio del film (non si dimentichi che Lang è stato un regista attento ai simboli che possono essere usati in chiave cinematografica), con il nero che domina assoluto per qualche secondo, prima che si senta fuori campo la voce della bambina iniziare a recitare la filastrocca "Scappa scappa monellaccio, se no viene l'uomo nero col suo lungo coltellaccio, per tagliare a pezzettini proprio te!". Ebbene, nella versione tedesca il nero viene reso ancora più incisivo e opprimente da un rullio secco del timpano, unito da una nota tenuta dalla tromba di appena tre secondi, da 00.13 a 00.16.
E sentite invece come questo incipit angosciante viene rovinato da uno stacco musicale – da 00.14 a 00.32 – con tanto di fischio di sottofondo e di arpa, che non rende assolutamente la drammaticità, la tragicità di quanto si sta per assistere. che sembra far calare lo spettatore in una sorta di Cavalleria rusticana alla Mascagni!
Il brano di Grieg, intitolato Nell'antro del re della montagna, orchestralmente, oltre a essere coinvolgente, è anche celeberrimo, lo si ascolti nella meravigliosa direzione di Sir John Barbirolli.
Ma trasformato in un fischiettio spesso stonato da parte del "mostro" si trasforma, e qui torniamo a bomba con quanto premesso all'inizio di questo scritto, in un elemento disturbante che prefigura la presenza dell'assassino e che simbolicamente assurge alla dimensione incarnata del Male. Si osservi da 03.50 a 04.24 con attenzione la mitica scena nella quale Hans Beckert fa il suo ingresso nel film, con la sua ombra nera riflessa nel manifesto in cui le autorità invitano la popolazione a fare attenzione all'assassino e alla taglia messa a disposizione per la sua cattura, mentre adesca la bambina con la palla.
Un altro regista, per ottenere un risultato più immediato e di "facile presa", all'apparire dell'ombra dell'assassino l'avrebbe accompagnata con un debito stacco musicale dissonante, ma non Lang. Per lui, giustamente, bastava il simbolo di quell'ombra cinese che si piega sulla bambina, quella macchia scura, che richiama il nero assoluto della primissima scena del film, per poi lasciare al fischiettio ossessionante dell'assassino l'altro modo di apparire sostituendosi all'ombra. Questa è genialità, una dote che, come in ogni attività umana, appartiene solo a pochi.
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